Messaggio ricevuto da Saren il giorno 14 Gennaio 2014 alle 15:53
regalo
* il pacchetto viene fatto trovare direttamente nella cabina di Jordan, chiuso in carta da regalo di un colore pastello e infiocchettato con un nastro di colore intonato. Tac ha sicuramente giocherellato un po' con i due lembi del nastro. Al suo interno un libro, un libro vero di carta, di quelli vecchio stile ancora diffusi nel border e nel rim, con le pagine un po' ingiallite dal tempo. Lo scricchiolio delle pagine e l'odore della colla mescolato a quello del'inchiostro da stampa suggeriscono una rilegatura a mano. La copertina è di tipo rigido, un tessuto color mattone molto scuro e il titolo è in caratteri dorati. E' un libro che raccoglie gli antichi miti classici della Terra-che-Fu, descritti in una prosa scorrevole e accessibile a tutti, ma non per questo sgradevole o malscritta. Dietro la copertina, qualche riga scritta a penna con la grafia del Solo. La data della dedica è quella del compleanno di Jordan. *
Si dice che un libro sia eterno, non tanto per il supporto sul quale viene riprodotto, quanto per ciò che ci lascia dentro e per il significato che ognuno di noi associa alle sue parole, alla sua mera fisicità di oggetto.
Quando ci siamo conosciuti io ti ho raccontato una storia tratta da questo libro e tu avevi gli occhi innocenti e brillanti di chi vede qualcosa di bello per la prima volta, di chi è ancora capace di emozionarsi davvero.
Si era strappata il casco della tuta d'assalto con stizza, rabbiosa - un animale in trappola -, incespicando fuori da quella cabina come se tutta la Skywatcher stesse andando a fuoco. Le luci di emergenza le davano il mal di testa, mentre si precipitava lungo il corridoio scricchiolante - una salva di laser ad incenerire lo scafo delle loro prede.
Scappava, scappava, scappava e non sapeva nemmeno lei da cosa stesse fuggendo.
Dal sangue di Rosales - cristoddio Jesse, firma quel fottuto foglio -, dalla voce incredibilmente tranquilla di Lelaine Blackwood. Dal vedere ancora una volta se stessa, negli occhi neri di Cordero, incatenata ad una sedia alla mercé dei suoi futuri schiavisti. Gli aveva letto tra le ciglia la stessa, identica, furiosa disperazione; era stata sicura, in un battito di ciglia, che l'avrebbe davvero inseguita fino ai confini del 'Verse per farle ingoiare ogni incubo, vischioso e amaro sulla lingua. Se solo l'avesse potuta vedere in faccia. Jordan non era certa, in realtà, di voler anche solo pensare al disgusto che gli avrebbe letto nello sguardo, se solo si fosse levata la visiera del casco.
Schianta le nocche contro la porta di una cabina, in un ringhio rabbioso, soffocato.
Ancora, ancora, ancora.
La stoffa dei guanti comincia ad essere ruvida, sulla pelle martoriata, e non gliene frega un cazzo se si sta massacrando le dita solo perché non è in grado di accettare che, ancora una volta, non riesce a salvare nessuno.
E' condannata, in qualche crudele, stupidissimo modo, a vedere la sua storia che si ripete. Ad assistere, impotente, a chi viene fatto schiavo per un profitto.
Con Ebwar, con Joe.
Forse in questo, in fondo, non sono tanto diversi.
Saren è in carcere - it happens in a blink -, Saren che l'avrebbe potuta ascoltare e invece è costretta ad urlare contro un muro, prima di accasciarsi in ginocchio, la mano destra tremante, dolorante - l'acciaio levigato che le stringe il collo non era mai stato così pesante.
Dita affusolate si infilano tra le ciocche bionde di una treccia mezza sfatta - sangue rosso le macchia lo zigomo, dalla stoffa. Si regge la testa, si tiene insieme per non sfaldarsi - il fragore silenzioso della sua serenità che andava in pezzi.
Il fiato le graffia la gola come fosse acido, grosso, affannoso - un pugno che le percuote lo stomaco ad ogni respiro, con la stessa violenza che aveva rovesciato contro la porta.
Reprime ricordi scomodi di notti sbagliate, li ingoia con la stessa amarezza che non riesce più a farla alzare, ora come ora - ho sparato a Jesse Rosales perché non volevo che firmasse.
E' nell'ultimo respiro affamato d'aria che si rialza, malferma, e si china in avanti per sputare saliva e sangue - mordersi le labbra per fermare il tamburo contro le costole -, nell'unico luogo degno di accoglierla: il pavimento freddo e sporco di un corridoio, che qualcuno avrebbe calpestato senza nemmeno accorgersene.