venerdì 26 settembre 2014

Run fast.

Horyzon, Capital City, 2516


Ad ogni passo sull'asfalto sente rimbombare le suole delle sneakers sfondate nel silenzio dell'Unification Park; l'appartamento di Eddie non è molto lontano, ma questa volta è lei l'insonne.
E' sgattaiolata fuori dopo la loro ultima discussione, e non sembra avere altro posto dove andare.
Corre - luce fredda dei lampioni elettrici, ombre scure sullo sterrato fin troppo ben tenuto - come se fosse inseguita, quando in realtà è solo la sua testa a tormentarla.
Schiena - sfregi sotto la stoffa della maglia - imperlata di sudore, fiato corto ma fisico d'atleta.
Corre e ricorda le mani di Daphne, la sua bocca, su di lei - Love Sugar e dolcissima assurda insensatezza; ricorda anche quelle di Sharon, serrate a strattonare il suo collare come se le volesse mozzare il respiro tra le corde vocali - «Non ti pianto una pallottola in fronte solo perché mi servi.» - e quelle di Shaw che la allontanano fermamente - «Non ti preoccupi per te, perché dovresti farlo per me?».
Scrolla il capo - un cavallo nervoso per le mosche - mentre curva e segue il sentiero, silenzioso quanto i suoi brulicanti pensieri. Si domanda, cupa, cosa sia davvero successo alle Terrazze Verdi - Wolf che lei ha visto sullo schermo di un c-pad con una pistola alla tempia e invece è stato arrestato per intralcio alla giustizia.
Non sono io la bugiarda, Wolfwood.
Ha promesso a Kenzi che non avrebbe più indossato il collare - clausola del nuovo contratto firmato -, ma dopo sette anni con del metallo sulla pelle sentirla nuda - un succhiotto viola, come le adolescenti - è una sensazione che non sembra piacerle granché.
Insetto inchiodato da spilli di schiavitù, una creatura volgare, che acquista un valore soltanto sotto vetro - in virtù della propria prigione.
Jordan Fox non ha mai amato i cambiamenti, eppure pare che la sua vita, per un motivo o per l'altro, sia sempre stata mutevole come il vento.
Si ferma.
Inchioda coi talloni sullo serrato e si china in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato - ampie boccate d'aria, 'ché qua è vera e non riciclata come sulla Lattina.
Si è fermata, senza neanche accorgersene, davanti al palazzo di Virginie.
Alza gli occhi al cielo buio - le tre, le quattro forse - per arrampicare lo sguardo su per la parete di vetro e acciaio, fino a trovare il finestrone che le interessa.
La luce dell'appartamento è spenta, ovviamente - chissà se ci sono ancora i suoi disegni appesi alle pareti.
Chissà se si ricorda ancora di me, tra prati di dollari e cieli di cemento.
Chissà se tutti quelli che si è lasciata indietro - tante vite fa - pensano ancora a lei, qualche volta.
Del che si sente in colpa, Baker che la odia, Nanà che se n'è andata.
Saren e Sylene che tormentano il sonno di Eddie e lo fanno vivere coi fantasmi.
La piastrina con la mano insanguinata, nascosta sotto la stoffa, non è mai stata così pesante.
Probabilmente è nostalgia quella che le afferra lo stomaco - e morde, morde -, ma qualcuno le ha sempre raccontato che le cose esistono solo se hai le parole per definirle.
E Jordan, con le parole, non è mai stata brava.
Non può fare altro che girarsi e ricominciare a correre.

sabato 20 settembre 2014

Walking Disasters.


She used to get her kicks from a fall to the floor,
but now she's always wasted
A total looker, but she's jaded.
The kind of shivering wreck that I adore.