domenica 13 luglio 2014

Strade che si lasciano dimenticare.

Ha tappezzato la parete della camera di Virginie con fogli e disegni, schizzi e scarabocchi.
Ha scombinato l'ordine che solitamente regna sovrano nella stanza spaziosa - finestroni a picco sullo skyline di Capital City.

« You didn't replay. »

Non sopportava più quel bianco abbacinante - intonaco candido su cui ancora rimangono confitte alcune di quelle puntine che nessuna di loro è riuscita a levare dopo quella notte.

« I don't want to be on my own. »
« Virginie, what the fuck is goin' on? »
« Jordan, I don't wanna them here. »

Un grottesco collage di articoli di giornale - quelli ancora cartacei che resistono per i corers troppo snob per volere solo la versione digitale -, foto, parole, macchie rosse di pennarello.
Loss, Death, End, Hell, Voices. 
Un airone blu - origami in carta di caramella - spillato di fianco ad una Jordan immortalata in foto, più o meno al centro della scena, collegata ad un assembramento di volti a lei tutti noti - crocifissi contro il muro dalle ossessioni di una mente terrorizzata.
Nella penombra di una stanza con una parete di vetro - gli acquari delle Terrazze Verdi ormai esplosi -, i sussurri che tormentano la coscienza della reporter rannicchiata sotto il letto li ha sentiti anche lei.
Altri mostri, altri fantasmi - mani avide in un seminterrato a Gokinai, sul polveroso Boros.
Non toccarmi non toccarmi non toccarmi non toccarmi.
Crepitano sotto la pelle, viscidi e silenziosi, e non importa quante volte si è pizzicata la pelle candida fino a farla illividire.
L'ha tirata fuori da lì, le ha fatto il bagno e l'ha messa a letto.
E' rimasta a fissarla troppo a lungo, accovacciata sul pavimento, il mento appoggiato al materasso, e qualcosa - paura stanchezza sensi di colpa - l'ha fatta restare a contare i suoi respiri, come un mantra, prima di addormentarsi esattamente lì dove si trovava.
Adesso pensa alla camera di Eddie, mentre contempla il lavoro che ha fatto sulla parete, e si chiede silenziosamente se il medico - sguardi silenziosi e gelidi - sia ancora arrabbiato con lei.

« Dovresti smettere di fare la bambina e crescere un po', Jordan. »

Pensa a lui in una casa vuota - no, non è vuota, c'è Tac -, pensa a lui a cui non ha risposto, pensa al braccialetto nascosto in fondo ad una sacca.
Pensa che se non gli passa stavolta - non odiarmi, l'hai promesso, non odiarmi -, non gli passerà mai più.
Ha uno sbaffo di quella che sembra grafite - carboncino matita sanguigna - sul naso spolverato di lentiggini. Jordan Fox non è mai cresciuta davvero, è semplicemente diventata grande perché il tempo è passato.
Pensa a Daphne, nascosta in una grotta diventata rifugio - bambini persi e confessioni -, pensa alle sue dita tra i capelli umidi intrecciare ciocche solitamente arruffate.
Pensa a Serafel - occhi di vetro e parole profonde - e alla treccia che lei stessa le ha fatto, ribaltando i ruoli.
Trascina un'occhiata verde lungo tutto il muro ricoperto di fogli, seguendo distrattamente la messa su carta dei suoi pensieri.
Principesse cigno - candide e immacolate, fatte di neve - che diventano tali solo una notte al mese, soffici piume sotto le dita, Sirenette blu cobalto, fiamme gialle - Maracay, la testa del Gemelo che scoppia come un pomodoro sotto il suo fucile -, occhi grigi, occhi azzurri, occhi bianchi - « Ma tu ce li hai, gli occhi? » - mani nere, macchie rosse.
Svuotarsi la mente e inchiodarla alla parete per poter tracciare uno schema, anche solo un sentiero tortuoso, che la conduca fuori dalla palude in cui sente di essere affondata fino alla gola.
Pensa a Wolf, alla sua delusione - « Non te lo posso perdonare. » - all'ennesimo errore che ha deluso qualcuno.
No, non qualcuno: il suo padrone.
Pensa a Dragan, per la prima volta dopo tanto tempo, e pensa a come sarebbe stata diversa la sua vita se l'avesse tenuta con lui - se l'avesse amata, almeno un pochino.
Si accorge di qualcosa che le solletica la guancia solo in ritardo, quando raggiunge le labbra.
Chissà per quale strana alchimia le lacrime dei bambini diventano sale, quando crescono.
Un ringhio frustrato, da animale braccato, le solletica rabbioso la gola.
Barcolla verso il bagno - troppe caramelle troppa tequila troppi pensieri - e si schianta nella doccia, vestita, sotto un getto bollente.
Neanche così, probabilmente, riuscirà a lavarsi di dosso tutto quanto.