mercoledì 30 aprile 2014

Bones.

Chernenko.
In bocca a Jordan, l'aspro suono che dovrebbe avere quel cognome - figlia di Koroleva - suona molto più dolce, una sinfonia di vocali nel silenzio del Tempio di Hanshan.
Grani di ematite sgranati tra dita sottili, grilli e preghiere nel giardino silenzioso.
Il capriccio di strapparle quella mala di dosso e portarsela via, un guizzo dispettoso per uno sfizio casuale - il prezzo di volere qualcosa e non avere filtri, e il Rosso ne sa qualcosa.
Glissare negare non parlare.
L'ossario che secondo Elian nasconde Lars Wolfwood comprende di sicuro meno scheletri di quello della schiava - gli occhi di bronzo dei Buddha nella Sala dei Re Celesti la fissano senza vederla.
Jordan Fox non si sottrae al giudizio di nessuno, ma non sopporta quello della reporter che le sta davanti scalza e le impedisce di estrarre una pistola con la sua arma migliore: la lingua - parlantina che lei non avrà mai, da qua ad un milione di anni.
La tentazione - selvatica e predatoria - di seguirla fino a ovunque abiti per avere quel braccialetto.
Elian Chernenko crede di sapere chi sia il suo padrone - quella che mette insieme i pezzi -, ma anche se è certa di essere ad un passo dalla verità, nessuno può sapere davvero chi sia. Nessuno.
Guardare negli occhi di Wolf è fissare a lungo nel buio e attendere pazientemente una qualunque scintilla.
E lei, in numerosi sospiri, l'ha vista.


« Puoi mettere insieme tutti i pezzi che vuoi, farti tutte le ipotesi di questo 'Verse e affondarci fino al gomito in qualunque storia tu stia cercando, dolcezza. Si dice che chi alza troppo la testa dove non dovrebbe, rischia di vedersela tagliata via. »

« Se cadranno delle teste, Layla, di sicuro non sarà la mia. »



domenica 6 aprile 2014

I wish that we could lay right here.

Safeport, Sunset Tower, 2516


Jordan Fox guardò la schiena di Eddie Shaw allontanarsi a bordo del Wyoming, allo spazioporto su Sunset Tower, sparire inghiottito dall'Airlock dopo averle rivolto un ultimo cenno, e pensò ad un numero indefinito, morbido, aggrappato ai polpastrelli.
Solo qualche ora prima, contava lentiggini su quella schiena e tracciava linee invisibili con i polpastrelli per disegnare costellazioni, simboli, seguendo i sottili graffi che lei stessa gli ha inciso nella pelle - brucerebbero di più se non ci fossero, probabilmente.
Solo qualche ora prima, seguiva in silenzio quel "quattro" inciso nella scapola - angherie da collegio maschile -, altri segni sottili e più discreti rispetto all'intreccio che solca la sua, di schiena - una schiava rovinata porta meno guadagni.
Guardò la sua schiena e pensò a Saren - morto morto morto -, pensò al maglione verde scuro che nasconde nella sacca e che mette più spesso di quanto vorrebbe.
Pensò che non era giusto guardarlo soffrire così, in silenzio, ora dopo ora strappata a Morfeo. Lui che anche tra le sue braccia aveva voluto aspettare un giorno per poter toccare un'altra insonnia e vedere se fosse meno dura di quella a cui era abituato. Lui che aveva attraversato l'ennesima notte come una strada, smarrita da qualche parte - tra i suoi baci e i suoi sospiri - per arrivare al mattino.
Pensò che fosse dannatamente ingiusto che Saren fosse morto e avesse lasciato il medico - loro - a dannarsi per ingoiare qualcosa che non voleva saperne di andare giù - né con la Blast né con l'insonnia.
In quella stanza malmessa nell'Affittacamere vicino al Black Market non c'erano finestre abbastanza grandi da cui cercare stelle da seguire nella mappa del cielo - non c'era un cielo, oltre la nebbia di Sunset Tower -, così lui era rimasto a guardare nel buio, ricordandosi che intorno non c’era il vuoto e non stava davvero galleggiando nel nulla.
C'era Jordan, addosso a lui - un respiro placido sul collo, fusa sommesse, sonno senza sogni.
Si erano rotolati nelle lenzuola per un paio di giorni - un bozzolo ruvido - senza pensare ai problemi - lui che non dorme lei che non mangia - o a cosa sarebbe successo domani.
Guardò la sua schiena e pensò a come lo aveva accolto, solo quarantotto ore prima, dopo due anni in cui l'ultima parola che le aveva sentito dire era stata "Ci vediamo" - inghiottita dalle Prigioni di Safeport, senza dirgli nulla.

« Promettimi che non mi odierai, qualunque cosa accada. »

Jordan non lo sa, forse, ma la capacità di strappare promesse simili a qualcuno è un dono raro - faccia da schiaffi. Ed è ancora più raro trovare qualcuno che le mantenga davvero.
Avrebbe avuto tutti i diritti di odiarla quando gli ha sputato in faccia la verità, quella scomoda, quella che Eddie ha seppellito giù, da qualche parte, in un cassetto buio che non lo fa dormire - non dormo, non perdo il controllo.

« Sono morti, Shaw. Crepati, andati, sono fottutamente morti. »

Ferirsi - e sapeva, con l'infallibile istinto della vittima di se stessa, che sarebbe successo - equivaleva a lasciare che il veleno di quelle parole - la tristezza - le contaminasse le vene. 
Senza speranza d'antidoto, sarebbe morta piano nell'intervallo infinito tra quella notte e il suo sguardo addosso o nello spazio tra l’inizio e la fine del sospiro spezzato che le aveva ringhiato contro.
Non era successo - non era morta: l'aveva abbracciata, invece, esausto e rabbioso - uno spintone e l'ennesimo insulto - prima di chiederle dove potesse stare - non dormire - dopo tutta quella strada.
Jordan Fox guardò la schiena di Eddie Shaw allontanarsi e pensò che gli aveva spento con un bacio tutte le parole che avrebbe voluto dirle - stai zitto stai zitto stai zitto - per non dover rispondere a qualcosa che nemmeno lei era certa di voler sentire.
E infine, pensò a quanto avrebbe voluto che fosse rimasto ancora, con lei, sdraiato in quel letto a contarsi storie e cicatrici.



« Se tu vuoi un amico addomesticami. » 
« Che cosa bisogna fare? » domandò il piccolo principe. 
« Bisogna essere molto pazienti. », rispose la volpe. « In principio tu ti sederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino. » 
Il piccolo principe ritornò l'indomani. 
« Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora. », disse la volpe. 
« Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità. Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore. Ci vogliono i riti. » 
« Che cos'è un rito? » disse il piccolo principe. 
« Anche questa è una cosa da tempo dimenticata. », disse la volpe. « E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'e' un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza. » 

Così il piccolo principe addomesticò la volpe.