St. Andrew, Black Fen, 2512
Ha lasciato un sentiero di passi inequivocabile, da Black Fen a tuffarsi nella foresta che circonda la palude ghiacciata. Lei, di quelle tradizioni - di quella lingua di quella gente -, non sa assolutamente nulla. La Santissima Muerte è familiare, nera e inquietante. Di quegli dei, gli dei del suo padrone, non vuole neanche conoscere il nome - mormorati urlati invocati come mantra durante sacrifici, preghiere, invocazioni.
Ha bisogno di aiuto, tuttavia, 'ché le donne del villaggio dove vive con Ebwar non la possono aiutare. Non si insultano gli dei rifiutando il dono di un padrone, anche se l'ordine arriva direttamente da lui - 'sì dicono loro, in quell'accento stretto. Jordan Fox ha smesso di credere in qualcosa quando una vecchia di Tartagal le ha letto la mano e ci ha letto rovina - se per lei o per gli altri, non l'ha ancora capito.
E' la Morte a governare questo mondo, e nessun altro.
Ogni nove anni, da tutto St. Andrew, i villaggi valicano le Steep Mountains attraverso l'Eagle Walk, s'inerpicano in strette gole e tumultuosi fiumi per raggiungere quella terra sacra e celebrare il loro credo. E' inevitabile, dunque, trovare in quel brulicante calderone di umanità qualcuno che possa fare al caso suo.
Jordan è sparita da qualche ora, il suo padrone è troppo impegnato a contrattare - schiave terreni alleanze - per badare a lei. Ha smarrito la strada, in quell'intricato labirinto di tronchi bruni che circondano le paludi come una corona, da almeno la metà del tempo. Gratta con un'unghia, distratta, il muschio secco e gelato dal tronco di un albero che dorme sotto le coperte soffici dell'inverno.
Attorno a lei, la foresta è solo rumori rassicuranti e ovattati di rami appesantiti che si scrollano di dosso cumuli di neve e di uccelli che lasciano ricami ordinati di orme sulla neve - quasi fossero i merletti che cuciva Amandine -, sentieri di zampette che si interrompono nel nulla quando le ali si spiegano finalmente nel volo. Uccelli neri che fanno capolino tra alberi bruni, e intorno a lei il bianco accecante che neanche la stella Polaris riesce a riscaldare.
Un corvo gracchia lontano - un soffice frullio di piume d'inchiostro - e improvvisamente si accorge di non essere più sola.
Non ha bisogno di voltarsi e guardare, per capire che il rumore che ha sentito non appartiene a una persona sola; quando ruota su se stessa, ha già il coltello in mano e si allontana velocemente dal tronco per non chiudersi la ritirata alle spalle.
Tre donne vestite di pelli spuntano da dietro la barriera dei tronchi e di alcuni cespugli spogli e irti di spine, apostrofandola in quella lingua che ancora le risulta straniera - ovunque vada, è condannata a non capire ciò che le dicono. Solo Padron Ebwar - e pochi altri - le parla in inglese - le ordina le comanda le impone.
Tiene stretto il coltello da caccia e spinge contro al terzetto di anziane lo sguardo della volpe in trappola, fiera e disperata.
Nessuno parla.
La neve - cristalli sfaccettati dalle mille forme, minuscoli agglomerati di gelo e di luce - le si impiglia soffice tra le ciglia, nella chioma arruffata, nel pelo stropicciato del cappuccio dimenticato sulla schiena.
Serra le nocche - rosse per il freddo - sull'impugnatura per darsi la forza di grattare una richiesta dal fondo della gola, cinta dal collare elettrico.
- Siete voi che potete darmi il Latte di Luna.
La domanda è tremula, graffiata - chi non usa più la voce se non per obbedire - ma non ha sfumatura interrogativa. Ha la fermezza di chi non ha altri a cui rivolgersi, e che non accetterebbe un no come risposta - si sarebbe spezzata anche lei insieme ai rami sottili, sotto il peso della coltre di neve perenne.
Le tre donne si guardano - occhi cerchiati di terra bruna - e Jordan spera con tutta se stessa che abbiano capito la sua richiesta. Si porta una mano al ventre piatto, sopra le pelli cucite, quasi d'istinto - « Liberatene, non mi importa come. »
E' forse quello - quel gesto dettato da chissà quale rimorso o speranza - ad attirare l'attenzione di una delle tre sainter. Ha gli occhi neri come le piume di corvo che nasconde tra i capelli bianchi, e la consapevolezza che colei che si trova di fronte è una schiava, non una donna libera - non ha diritto di scelta.
Parlotta con le altre due anziane per un tempo che le sembra infinito, una stretta d'angoscia allo stomaco e al cuore, così dolorosa che deve sforzarsi per ricacciare un singhiozzo in fondo alla gola - da dove non sarebbe mai dovuto uscire.
- Aye.
Mai avrebbe pensato che un sì le avesse potuto sollevare tanto il cuore e, nello stesso tempo, affossarlo giù nelle viscere di una indecisione che bussa alle porte solo adesso, quando la parte ancora libera di Jordan si dibatte.
Dentro di lei, c'è qualcuno che potrebbe essere un bastardo o un uomo libero.
E lei sta per sbarazzarsene senza appello.
- Not here.
Sfarfalla le ciglia - non è una lacrima, è il gelo che le brucia i sensi - e torna bruscamente ad osservare le tre donne.
Adesso è l'altra vecchia a parlare, con un cappuccio in testa e i capelli grigi, intrecciati di perline di legno - calca sulle consonanti in un inglese stentato. Brucia la distanza che la separa da Jordan in qualche passo leggero sulla neve, per raggiungerla e afferrarla per il gomito del braccio che regge il coltello.
La esorta a seguirle, mentre già le altre due sono sparite - non ha visto quando - nel folto della foresta innevata. C'è qualcosa di sacro, davvero, e di spirituale nel silenzio che le assorda le orecchie - scricchiolano i suoi passi, incespica sulla neve fresca.
Torce il collo per guardarsi alle spalle, mentre scompare inghiottita dai tronchi e diretta chissà dove. Spera solo di essere di ritorno prima che Padron Ebwar si accorga della sua scomparsa.
La neve, implacabile, cancella il rincorrersi delle loro impronte.