Clackline, Magione dei Deveraux, 2509
Le schiave dei Deveraux dormono nella dépendance, un casotto di legno di fianco alla proprietà principale. Dieci letti in una stanza sola, uno accanto all'altro - l'armadio non serve, i vestiti appartengono ai Termas, che ne donano uno a ciascuna di loro; se ne devono prendere cura: rammendarlo se si consuma, lavarlo quando si sporca. Uno dei doveri delle schiave è essere sempre presentabili, dato che entrano in casa e si mostrano agli occhi della padrona, delle figlie della padrona - a Wanda piace tanto intrecciare i riccioli neri di Amandine.
Jordan ha appena finito di cucire uno strappo nella sottana di cotone - s'è bucata le dita tre volte, masticando imprecazioni sottovoce, per non svegliare nessuno. La luce della luna che filtra dalla piccola finestra, sotto cui è seduta, non è la compagna ideale per un rammendo come si deve. Solleva il semplice abito che appartiene a lei da quasi due anni, rimirandolo con aria corrucciata; sbircia proprio Amandine, placidamente addormentata due letti più in là, pensando che lei avrebbe sicuramente fatto un lavoro migliore.
Sospira, mentre gli occhi verdi scivolano di nuovo fuori, oltre il vetro sottile, indagando la notte che circonda il grande giardino della casa coloniale. Sfarfalla le ciglia - solo un istante.
Improvvisamente, una miriade di faville bianche, luminose in quella notte afosa, danzano leggiadre nel buio. E' un fluttuare così svelto - un respiro stupito - che l'attimo dopo sono già scomparse nel mare di fili d'erba, tra le ombre dei peschi, tra le pannocchie oltre la staccionata.
E' talmente svelto che nemmeno Jordan si accorge di essere uscita incespicando dal capanno - in sottoveste, scalza sulla terra bruna, umida di rugiada - per inseguire alla cieca quelle scintille. Nemmeno il tempo passato - una vita fa, troppe vite fa - le ha fatto dimenticare cosa raccontava sua madre sulle lucciole - quando ancora non era Fox, ai suoi occhi, ma era soltanto Jordan.
Leggenda - mormorava sua madre, tra le sue ciocche bionde - vuole che non siano altro che scintille di esistenze finite, vite stroncate con violenza e ancora irrimediabilmente aggrappate a quell'ombra di essenza che possono chiamare Vita - racconti bisbigliati nella notte dei tempi e, misteriosamente, giunti intatti nei Quaranta Cieli. Sono coloro che hanno preferito bruciare in eterno, piuttosto che spegnersi chissà dove, e il Cielo li ha puniti, poiché le anime ardenti non possono andare lassù.
Jordan alza gli occhi contro il cielo buio, punteggiato di stelle - diamanti su velluto blu scuro - prima di cercare ancora nell'erba i luccichii di quella leggenda.
L'umida estate di Clackline arriccia i capelli sul collo - domani al Mercato di Baton Rounge sarà infernale.
E di nuovo, proprio quando ha quasi rinunciato e gira su se stessa - un fruscio di fili bui - per tornare al capanno, le vede: decine, centinaia di lucciole brillano nel silenzio afoso, sulla terra smossa dell'orto dietro la magione - pietre preziose, ricamate con perizia sulle zolle scure.
Una galassia in miniatura, sentieri che avrebbe potuto seguire con la prima nave per scappare da quella prigione - il collare di cuoio irrita la pelle sudata.
Eppure, resta lì.
Una parte di lei si chiede silenziosamente se tra quelle lucciole non ci sia anche Tulio, arso per un desiderio che gli faceva urlare le vene e l'ha trascinato a fondo con un buco nelle viscere.
Forse - ma solo forse - il suo momento di bruciare non è ancora arrivato.
Roanoke, Takoma Springs, 2517
Non vuole aprire gli occhi.
Non può farlo, non ricorda perché ma sa semplicemente che quel dolore nascosto in fondo al petto - ogni respiro, una coltellata alle costole - tornerebbe, se lo facesse.
L'abbraccio della febbre - qualcuno le ha aperto il fianco e ci ha frugato dentro - non è dissimile da quello di un amante: medesime sfumature di rosa e di abbandono, pellicole di sudore e veli di spossatezza sulle membra riverse; il petto che si alza e si abbassa con affanno, un rantolo superficiale.
Sa cos'è successo - ricorda ogni pugno, ogni parola.
Ricorda che le sue mani, poco tempo prima, l'avevano stretta in ben altro modo.
Sa cos'è successo fin troppo bene, ma gli antidolorifici con cui l'hanno stordita - improvvisamente ha ancora 17 anni e la switch che le mastica i nervi - hanno il potere di annebbiare tutto quanto. Si ritrova a vagare in una foschia densa, il soffitto della stanza del Why Not sembra sciogliersi, a volte, altre volte si agita scosso dal vento gelido che spazzava Flame, su St. Andrew.
Ingoia il fiotto amaro della vergogna, nutrendosi di un veleno che la infetta - un colpo di tosse, una martellata allo sterno - ma di cui non sembra riuscire a fare a meno.
Si stropiccia gli occhi serrati - le ciglia, senza trucco, sono soffici e bionde - e rivede le stesse lucciole che gironzolavano nelle notti di Clackline, pulsare oltre le sue palpebre chiuse.
E' in quel momento che si decide, finalmente, ad aprire gli occhi.
Ci ha letto chissà cosa, in quel sentiero luminoso - qualcosa che sta digitando sul cortex recuperato dal comodino di fianco al letto, a fatica.
« Se ti si rivela illuminante, dovresti prenderle più spesso. »
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