domenica 30 marzo 2014

Cell Block Tango.

La prigione di Sunset Tower, su Safeport, è umida e malsana - la bella umanità tutta riunita assieme.
Probabilmente è colpa della nebbia, chimica e infetta, che filtra attraverso i muri e impregna tutto quanto, talmente densa che sembra quasi di respirare acqua e scarichi industriali. E forse, non è neanche tanto lontano dal vero.
Il suo "dirimpettaio" si chiama Colin e ha perso l'orecchio sinistro nella Prima Guerra; non ha potuto combattere la Seconda perché ha deciso che ammazzare a colpi di shotgun quelli che hanno provato a scassinare il suo negozio di pegni valeva più di un ritorno in Trincea Indipendentista.
Tanto è altisonante il nome, tanto peggio è colui che lo porta.
Le ha raccontato che la madre era persa per uno sceneggiato alla holovisione, qualcosa di vecchissimo proveniente direttamente dalla Terra-che-Fu. Poi ha fatto un commento acido e misogino sulla stupidità femminile e Jordan ha smesso di ascoltare.

Colin la odia, probabilmente - « Pirati, la feccia del 'Verse. » -, ma ciò non gli impedisce di parlarle al di là delle sbarre, di sbottarle contro quando tira la catena che le tiene fermo il polso destro fino a scorticarsi la pelle - « Fai troppo baccano. » -, di minacciarla con una sorta di burbera preoccupazione - « Se ti fai violentare da qualcuno, Foxey, poi ti violento io. »
Jordan non ha mai capito quanto delle sue parole fosse strana e contorta apprensione e quanto semplicemente un aspettare il via libera da qualcuno più coraggioso di lui - l'ha vista prendere a calci Marshall Lee, selvatica e rabbiosa, prima di fracassarsi le costole sotto un pugno di Moloko.
Colin le ha fatto compagnia mentre spaccava pietre, mentre sputava sangue in un angolo della cella - pavimento macchiato e tormentato -, mentre rifiutava di mangiare l'ennesimo rancio a dir poco commestibile.
Colin ha scontato la sua pena giusto tre settimane prima di lei; è arrivato un Deputy ad aprirgli la cella - singola, una delle poche fortune in quel posto - e a scortarlo all'uscita, prima di riprendere i suoi pochi averi. Passando davanti alla cella di Jordan, ha chiesto un minuto al secondino, che gliel'ha concesso di malavoglia.
Ha allungato una mano attraverso le sbarre, quasi volesse raggiungerla - catena troppo corta e sospiro troppo lungo. Le ha regalato un consiglio e un sorriso sghembo, macchiato di tabacco.

« Se devi continuare a fare la cagna di qualcuno, assicurati che la catena non sia troppo corta. »

~

L'aria fuori dalla cella è fin troppo rarefatta, niente odore di piscio e sofferenza - nebbia velenosa densa ma leggera.
Sacca in spalla e stomaco stretto, niente arma al fianco - divieto permanente di porto d'armi.

Come sentirsi nuda e vulnerabile con ancora tutti i vestiti addosso.
E' allontanandosi dalla prigione, svelta, che coglie il suo riflesso in un vetro incrostato della baracca d'angolo - uno spettro di ossa e rabbia le restituisce lo sguardo, verdi occhi annegati nella diffidenza. Il successivo sfarfallio delle ciglia bistrate di nero le fa scivolare quella stessa occhiata sul muro del medesimo edificio.
Si pietrifica.
Sulla parete screpolata, affacciata sulla strada, spicca ancora la sua faccia - quella di un paio di anni fa - appesa storta, mezza scollata e ingiallita - un nugolo di gente affissa alla parete, fantasmi di un passato lontano.
Quello stesso passato che Ivan Volkov le ha sentito confessare, senza esitare troppo, pentendosi parola dopo parola ma seguendo un impulso che non riesce a soffocare - Jordan Fox non sa mentire.
L'impulso atavico, viscerale - subito sfogato - è afferrare un lembo di carta e strapparsi via, farsi a pezzi e calpestarsi mentre sparisce lungo la strada, senza guardarsi indietro - esattamente come Safeport ha fatto con lei.
Tagliare la catena, direbbe Colin, fa un male fottuto.


I am not what I've done - what I've become.
The smoking gun - Can't fight these bad intentions.

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