Con la magica polverina bianca, tutto quanto sembra normale, sopportabile. Tollerabile.
Il momento peggiore, invece, è quando la Blast smette di fare effetto.
Affogare in una vischiosità bianco latte, poi nero, poi un pugno allo stomaco quando l'astinenza morde sotto la pelle, mangiandosi via pezzi di coscienza e ricordi che vorrebbe solamente lasciare sul fondo di una bottiglia. E' lì che ha cercato la sua libertà - la sua dignità - ma ci ha trovato solo un ritorno inesorabile alle origini. Jordan Fox dimentica troppo spesso, quando fruga nelle sue viscere, che chi l'ha rimessa insieme si è perso pezzi per strada che nemmeno l'alcol può recuperare.
Senza regole, senza controllo, senza un collare.
E' stato Lars a raccattarla in una bettola di El Paso, persa in un quadro astratto - pastoso il colore sulla tela, rosso scarlatto magenta porpora carminio sangue.
E' stato lui a rimetterle un anello al collo e una penna in mano - « Firmalo. »
E' stato lui a medicarle, in silenzio, ferite che sanguinavano silenziose solo in fondo al suo stomaco - labbra sulla fronte, respiro tra i capelli.
E' stato invece Eddie a spingerla a non farsi più - testate e baci di scuse, tequila e stordimento.
E' stato lui a cui ha dovuto scrivere che se ne andava, che partiva, che non poteva rispettare la promessa - « Non costringermi a venirti a riprendere. »
Cagna randagia, 'che anche un padrone nuovo non cambia ciò che è - « E' ancora la sua cagna. »
E' il secondo che la lascia andare e che si porta via una parte di lei - non rimarrà più nulla se non ossa e rimpianti, sangue e rabbia.
Ha scelto spontaneamente di consegnarsi ai Browncoats - Giacchemmerda -, ignorando il messaggio del Dottore - « Può venire quando vuole, abbiamo stabilito la sua terapia. » - che le consigliava di disintossicarsi, di farsi aiutare. Ha scelto la cura più drastica: tuffarsi a capofitto nel passato e farsi chiudere in una cella quadrata senza possibilità di uscire - levarsi una taglia che cominciava a starle stretta per ciò che le ricordava costantemente.
Il pestone alla schiena di Ivan Volkov le ha fatto scricchiolare le vertebre, ad una ad una, tenute insieme solo dal pugno che rapido e senza domande - « E' lui il vostro cane rabbioso? » - Klaus le ha schiantato alla bocca dello stomaco.
La fame d'aria arriva proprio quando in realtà avrebbe solo voluto parlare e urlare e bestemmiare, ma l'unica cosa che è riuscita a fare è stato tossire nella polvere di Nedmore Town, accasciata come un giocattolo rotto.
Si è già rotto qualcosa alle parole di Del - « Ho provveduto alla cremazione. » -, 'che non riesce a pensare ad altro che non siano i pezzi della Enkeli sparsi per tutto Polaris.
Lena, Ren.
Le mani di Saren - morto morto morto - era ciò che voleva sentirsi addosso, e non quelle di Volkov che l'ammanettava mormorandole all'orecchio fantasmi - « Eri tanto affezionata a Petra Jimenez? » - che ha ingoiato e digerito ormai molto tempo fa. O così credeva, prima di pensare che le mani di Ivan, sulle sue braccia, bruciano più delle sue parole.
« Spero che tu ne esca meno patetica di come ci stai entrando. »
Marshall Lee e la sua faccia da schiaffi - il suo mormorio crudo all'orecchio - sono l'ultima cosa che vede prima che la sbattano in una cella a Sunset Tower - un vestito arancione e una catena al polso -, prima che se ne vada biascicando qualcosa al crucco che l'ha strattonata fin lì.
L'ultima cosa, prima che si curvi sul freddo pavimento e vomiti, finalmente, tutto il suo disprezzo e la sua disperazione - il dolore allo stomaco che le martella le tempie.
« Dille che se si presenta su Safeport, non la perdonerò mai. »
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