Ha sognato una sirenetta, intrappolata nelle profondità di un lago ghiacciato - nei sobborghi di Capital City. Batteva contro il ghiaccio trasparente con mani sottili - troppo fragili - urlando tante bollicine, una sinuosa coda blu scuro guizzante di scaglie nella cristallina acqua della vasca. Capelli biondi come un'aureola, fluttuanti attorno a lei, una collana di conchiglie bianche - tesori conservati di una lei bambina - a serrarle il collo.
Ha sognato una gatta dal manto nero e gli occhi verdi, appostata famelica ai piedi di una voliera piena di tanti uccellini colorati; faceva dondolare la coda avanti e indietro, indispettita dalle sbarre; un sorriso gelido, sornione, che non arriva nemmeno ai baffi - agli zigomi, labbra scarlatte.
Ha sognato un grosso cane da caccia, pelo ispido e sguardo fiero; la rincorreva nel sottobosco, abbaiando e ringhiando come un'intera muta. Lei si intrufolava in una tana spessa, profonda - un fruscio di foglie verdi e arbusti sotto i polpastrelli -, la coda fulva gonfia di paura. Il cuore un tamburo da Guerra - quella che non ha mai combattuto.
Ha sognato un coniglietto bianco, orecchie lunghe e coda soffice, che aveva così tanto coraggio da avvicinarsi a lei e non aver timore di essere mangiato - di ciò che ha fatto in passato. Le dispensava consigli - cioccolatini - e le permetteva di riposare all'ombra del suo albero preferito - nel suo studio alla Blue Sun -, fremendo contro il suo collare come se non capisse fino in fondo perché una come lei dovesse avere quello a rovinarle la pelliccia.
Ha sognato un cerbiatto dagli occhi azzurri - grandi e selvaggi -, placido nel folto di quella stessa foresta, che la guardava da lontano e non si faceva avvicinare, guizzando via da una lama sbucata da chissà dove in un secco suono di ramoscelli. Lasciava ciocche di pelliccia tra i rovi. Lei lo seguiva, senza mai raggiungerlo davvero - nei vicoli di Maracay.
Ha sognato un lupo dal pelo scuro, gli occhi grigi - diverse sfumature - e l'aria solenne; lei abbassava le piccole orecchie contro il capo, intimorita, prima di affondare piano il naso contro la sua pelliccia del collo; nettamente più grosso di lei, ne riceveva in cambio uno sbuffo pigro - quasi volesse insegnarle come ci si comporta. Non poteva far altro che trotterellargli dietro, incuriosita - grata.
Ha sognato una volpe - uno un po' come lei -, pelo fulvo e aria saccente. Le girava attorno e le regalava un fiore - un braccialetto -, prima di spingerla con delicatezza a seguirlo: su per la collina, oltre il ruscello, fino ad un campo di papaveri rossi. E per la prima volta in tutta la sua vita, ha pensato che non ci fosse nulla di male a rotolarsi lì in mezzo assieme a lui e dimenticarsi di tutto il resto - di tutto il 'Verse.
Ha sognato una pantera, occhi neri e denti aguzzi - un Bronwcoat sulle spalle. La fissava dal folto della foresta, appostato nel buio, in attesa di una sua mossa falsa - un accordo e una promessa. Lei non era una volpe molto furba. Non ha avuto nessuno, purtroppo, che le insegnato che non si fanno patti con le pantere - un sentiero lastricato di sabbia e strane intenzioni. Il freddo cipiglio sul muso del felino le faceva arruffare il pelo.
Quando si risveglia di scatto in un letto a lei ormai noto, con qualcuno al fianco - il respiro tranquillo e regolare di chi ha un sonno chimico e non naturale -, si stupisce di non sentire sotto le dita la terra umida, i petali sgualciti dei papaveri, le foglie secche e gli aghi di pino del sottobosco. Ci mette giusto un istante a mettere a fuoco il soffitto candido della camera, nel buio solo di poco rischiarato dallo skyline notturno della capitale di Horyzon allineata fuori dalla finestra.
Silenzio. Respira.
Si accoccola contro la schiena di colui che ancora dorme e chiude di nuovo gli occhi.
venerdì 30 maggio 2014
lunedì 26 maggio 2014
Behind Blue Eyes.
La chiave nella toppa gratta leggermente verso sinistra quando la inserisce e gira per spingere la porta - barcolla appena, e questa volta non è la tequila.
Solo lo scodinzolare silenzioso di Tallio e i passi felpati di Tac sul pavimento la accolgono in una casa altrimenti vuota - « Vado su New London dai miei. Torno presto. »
Un vago ricordo del suo messaggio le formicola la mente, ancora distratta - stranita incredula - dall'ultimo e casuale incontro nei corridoi dell'Ospedale - non ricordarsi l'appuntamento e trovare tutt'altro.
Uno spettro in vestaglia seduto al bar, il fantasma della bionda e sorridente ragazza che ha conosciuto solo poco tempo prima in un parco - un ritratto e un sorriso, ditate di rosso sotto le lentiggini.
Gli occhi azzurri di Virginie sembravano aver prosciugato ogni traccia di colore dal suo viso - divorato da un terrore che nemmeno lei vuole sentir raccontare.
« Non te lo posso dire. Ma credo che lo verrai a sapere presto. »
Se li è sentiti addosso, brulicanti sulla pelle, e altri due paia le hanno fulminato la mente, nello spazio di un respiro trattenuto e un battito di ciglia.
Gli occhi azzurri di Andres - « Ispida bellezza di St. Andrew. » - che la guardano, tempestosi e preoccupati, nell'odore soffocante di umanità de La Bamba - nei vicoletti di Maracay.
Puttane, piume e papponi.
Il rumore delle percussioni, quella musica così sgraziatamente allegra in sottofondo ad una scena che di allegro non ha assolutamente nulla - i suoi capelli sparsi sul tappeto, il trambusto delle guardie, il dolore alla mano destra.
Gli occhi azzurri di Eddie - i suoi capelli rossi in cui passare le dita - che la fulminano in un ricordo sbiadito, prima che prendesse a pugni Ryan, prima che la piastrina di Nancy tintinnasse ai suoi piedi - assordante almeno quanto le sue stesse parole.
Gli aveva voltato le spalle ed era corsa fuori - ancora una volta - per non leggergli in fondo allo sguardo qualcosa che le avrebbe fatto troppo male.
Troppo, per chi ha semplicemente eseguito degli ordini.
In quell'istante in cui ha spezzato l'equilibrio - lei urla lui resta impassibile -, c'era un sentimento così intenso nei suoi occhi che l'è parso leggerle dentro capitoli di anima che lei non riusciva nemmeno a individuare, intere frasi scritte dalla sua mente, cancellate con mano ferma per non doverle riscoprire un giorno, per caso.
Era tornata perché stare lontana da lui, semplicemente, non riusciva a farlo - a costo di sentirsi la sua rabbia addosso.
« Usa quella cazzo di chiave, Jordan. »
Raggiunge la camera da letto tormentata da questi pensieri, forse per dormire, forse perché ha finito la superficie calpestabile e deve ricominciare da capo.
Sulla sedia alla scrivania, una camicia azzurra - E.B.S. sotto il taschino -, una felpa, tracce di qualcuno che è partito lasciandosi dietro una tranquilla quotidianità, di cui lei ha ricominciato da poco a far parte.
Il polpastrello traccia distrattamente le lettere ricamate sulla stoffa - allineare caramelle sulla mano di Virginie, quasi volesse aggiustarla. Pensa al candido palmo della reporter - mappe indiscrete dei sentieri di una parte dell'anima che doveva restare inesplorata da tutti.
La vecchia di Tartagal che le ha letto la mano anni fa - « Spirito feroce dagli occhi verdi. » - lo sapeva bene, quando le ha bisbigliato all'orecchio il suo futuro. Sapeva che certe strade, anche a conoscerle in anticipo, sono troppo tortuose, troppo difficili da percorrere.
Le labbra della donna sulle sue nocche, la sua silenziosa gratitudine - un passato a Baton Rouge che non racconta mai a nessuno.
Il turbamento di lei all'arrivo di Lars, che sembrava sapere qualcosa riguardo ciò che l'è successo - nuvole torbide dietro i suoi occhi azzurri.
In un impeto istintivo, recupera il suo blocco e inizia a disegnare - grafite su carta ruvida, dita macchiate di polvere grigia.
Disegna ciò che ricorda, disegna ciò che ha visto, disegna ciò che ha sentito a fuoco sulla pelle.
Finirà alle prime luci dell'alba, foglio dopo foglio, finché non sarà soddisfatta.
Eddie, al suo ritorno quel mattino stesso, troverà Jordan appisolata sul tappeto del salotto, circondata da fogli strappati e l'armadio completamente sottosopra, come se qualcuno avesse dormito lì dentro.
Solo lo scodinzolare silenzioso di Tallio e i passi felpati di Tac sul pavimento la accolgono in una casa altrimenti vuota - « Vado su New London dai miei. Torno presto. »
Un vago ricordo del suo messaggio le formicola la mente, ancora distratta - stranita incredula - dall'ultimo e casuale incontro nei corridoi dell'Ospedale - non ricordarsi l'appuntamento e trovare tutt'altro.
Uno spettro in vestaglia seduto al bar, il fantasma della bionda e sorridente ragazza che ha conosciuto solo poco tempo prima in un parco - un ritratto e un sorriso, ditate di rosso sotto le lentiggini.
Gli occhi azzurri di Virginie sembravano aver prosciugato ogni traccia di colore dal suo viso - divorato da un terrore che nemmeno lei vuole sentir raccontare.
« Non te lo posso dire. Ma credo che lo verrai a sapere presto. »
Se li è sentiti addosso, brulicanti sulla pelle, e altri due paia le hanno fulminato la mente, nello spazio di un respiro trattenuto e un battito di ciglia.
Gli occhi azzurri di Andres - « Ispida bellezza di St. Andrew. » - che la guardano, tempestosi e preoccupati, nell'odore soffocante di umanità de La Bamba - nei vicoletti di Maracay.
Puttane, piume e papponi.
Il rumore delle percussioni, quella musica così sgraziatamente allegra in sottofondo ad una scena che di allegro non ha assolutamente nulla - i suoi capelli sparsi sul tappeto, il trambusto delle guardie, il dolore alla mano destra.
Gli occhi azzurri di Eddie - i suoi capelli rossi in cui passare le dita - che la fulminano in un ricordo sbiadito, prima che prendesse a pugni Ryan, prima che la piastrina di Nancy tintinnasse ai suoi piedi - assordante almeno quanto le sue stesse parole.
Gli aveva voltato le spalle ed era corsa fuori - ancora una volta - per non leggergli in fondo allo sguardo qualcosa che le avrebbe fatto troppo male.
Troppo, per chi ha semplicemente eseguito degli ordini.
In quell'istante in cui ha spezzato l'equilibrio - lei urla lui resta impassibile -, c'era un sentimento così intenso nei suoi occhi che l'è parso leggerle dentro capitoli di anima che lei non riusciva nemmeno a individuare, intere frasi scritte dalla sua mente, cancellate con mano ferma per non doverle riscoprire un giorno, per caso.
Era tornata perché stare lontana da lui, semplicemente, non riusciva a farlo - a costo di sentirsi la sua rabbia addosso.
« Usa quella cazzo di chiave, Jordan. »
Raggiunge la camera da letto tormentata da questi pensieri, forse per dormire, forse perché ha finito la superficie calpestabile e deve ricominciare da capo.
Sulla sedia alla scrivania, una camicia azzurra - E.B.S. sotto il taschino -, una felpa, tracce di qualcuno che è partito lasciandosi dietro una tranquilla quotidianità, di cui lei ha ricominciato da poco a far parte.
Il polpastrello traccia distrattamente le lettere ricamate sulla stoffa - allineare caramelle sulla mano di Virginie, quasi volesse aggiustarla. Pensa al candido palmo della reporter - mappe indiscrete dei sentieri di una parte dell'anima che doveva restare inesplorata da tutti.
La vecchia di Tartagal che le ha letto la mano anni fa - « Spirito feroce dagli occhi verdi. » - lo sapeva bene, quando le ha bisbigliato all'orecchio il suo futuro. Sapeva che certe strade, anche a conoscerle in anticipo, sono troppo tortuose, troppo difficili da percorrere.
Le labbra della donna sulle sue nocche, la sua silenziosa gratitudine - un passato a Baton Rouge che non racconta mai a nessuno.
Il turbamento di lei all'arrivo di Lars, che sembrava sapere qualcosa riguardo ciò che l'è successo - nuvole torbide dietro i suoi occhi azzurri.
In un impeto istintivo, recupera il suo blocco e inizia a disegnare - grafite su carta ruvida, dita macchiate di polvere grigia.
Disegna ciò che ricorda, disegna ciò che ha visto, disegna ciò che ha sentito a fuoco sulla pelle.
Finirà alle prime luci dell'alba, foglio dopo foglio, finché non sarà soddisfatta.
Eddie, al suo ritorno quel mattino stesso, troverà Jordan appisolata sul tappeto del salotto, circondata da fogli strappati e l'armadio completamente sottosopra, come se qualcuno avesse dormito lì dentro.
mercoledì 7 maggio 2014
Deep in the back of her mind.
Jordan chiude gli occhi e improvvisamente è di nuovo bambina.
Ha undici anni, un vestitino blu e le ginocchia sbucciate. E' la festa di Thyatira, le barche dei pescatori escono in processione, una dopo l'altra, sul vasto mare buio punteggiato dalla luce delle lanterne di carta. Quando sono al largo, guarda le luci librarsi leggere nell'aria fresca di una sera d'estate, un ringraziamento vecchio come il 'Verse ai primi Coloni, quelli sbarcati su Whitmon dopo il Terraforming, quelli che hanno cominciato a spargere casette come sassolini sulla terra brulla di quell'isoletta.
Nik, il solito Nik, l'ha spinta giù dai gradini lastricati che dalla piazza principale si tuffano per i vicoletti del paesino fino al molo di legno, unico porto dell'isola; l'ha spinta per arrivare primo, e solo Thomas si è guardato alle spalle per controllare che non si fosse fatta troppo male. Thomas dagli occhi blu e i capelli neri, Thomas che la chiama per nome e alza le spalle ai suoi capelli corti - « Non stai male, comunque. ».
Una zazzera bionda e spettinata - gli scherzi di Elija, le risate e una gomma da masticare impigliata tra le ciocche color miele - che si era tagliata da sola, senza nemmeno guardarsi allo specchio.
Jordan osserva le lanterne finché non sono sparite nella manciata di stelle sparse sul cielo, velluto blu scuro, prima di far scivolare apparentemente distratta gli occhi verdi nella folla gremita sul molo di legno - sua madre in un angolo flirta con uno sconosciuto che non la guarda nemmeno -, cercando la sagoma di Tom, da qualche parte. Forse è molto più interessante lui, rispetto alle lanterne.
Jordan chiude gli occhi e improvvisamente è di nuovo ragazzina.
Ha diciassette anni, i capelli rosa e le braccia traforate di buchi. Switch fino a perdere i soldi - il senno il rispetto il controllo. La dignità, quella l'ha già smarrita da qualche parte quando ha accettato di far marchette per Tulio - « Sono per tutti e due, chica, per tutti e due. » -, che si mangia ogni soldo che lei riesce a tirare su scopando con chi decide che vale qualche pesos, al Sangre Amaro in quel di Tartagal.
E' ferma in un vicolo, la schiena nuda contro il muro di lamiera di una delle baracche, le mani strette contro il seno acerbo, il tessuto di una canottiera che una volta aveva tutta la stoffa al punto giusto - non tutti quelli che la pagano sono gentili. Ha uno zigomo pesto - le donne le trattano a ceffoni, al Sangre Amaro - e le banconote stropicciate infilate tra le dita, quasi qualcuno dovesse strappargliele di dosso. Sta cercando di riprendere fiato - inspira espira ispira espira - per andarsene a casa. Non prima di essersi infilata qualche soldo nelle scarpe, dove Tulio non guarda mai. Se per comprarsi altra Switch senza di lui o per farci altro, non è dato sapere.
Jordan chiude gli occhi e improvvisamente è di nuovo ragazza.
Ha ventun'anni, un collare al collo e tanta paura. E' sdraiata su un letto di pellicce, circondata da tre donne anziane che parlano un dialetto stretto di St. Andrew, qualcosa pieno di consonanti e dalle vocali particolarmente aperte. Le piazzano in mano una ciotola di legno colma una bevanda bianca, piuttosto pastosa e dal profumo di latte - « Latte di Luna. » -, ordinandole di berla tutta, fino all'ultima goccia. Farà morire il bambino, riesce a capire a stento, mentre una delle donne le piazza una mano sulla pancia ancora piatta e strofina un paio di volte, recitando una preghiera a lei sconosciuta.
Non è del tutto sicura di volerlo fare, di voler tagliare via quel qualcosa che il suo padrone - Ebwar - le ha piantato nel ventre. Non ha mai riflettuto sulla questione, sull'avere un bambino.
Non lo voglio un bastardo come me.
Svuota la ciotola in un paio di sorsi, storcendo la bocca per l'amaro che le gratta la lingua. Si beve svelta ogni rimpianto di cancellare una vita, spalleggiata dall'egoistica rassicurazione che, comunque, il liberarsi del bambino era un ordine diretto dell'Orso suo Padrone. E per una schiava, questo è già abbastanza.
Jordan chiude gli occhi e improvvisamente è di nuovo lei.
Ha venticinque anni, la pelle dorata dal sole e un lampadario di conchiglie sospeso sul soffitto. Le labbra di Eddie sulla spina dorsale - schiena intrecciata di cicatrici e lentiggini - sgranano le vertebre come grani di un rosario, e le preghiere sono le fusa che sta facendo lei - capelli arruffati e profumati delle lenzuola di lino. La conchiglia bianca che gli ha regalato penzola da un cordino di cuoio, solleticandole la pelle nuda. Whitmon è un angolo di paradiso, lontano da tutti e da tutto quanto anche se solo per una settimana - troppo poco per la pace, troppo senza risposte al suo cortex.
Il silenzio di Lars Wolfwood è l'unica cosa che incrina la sua serenità, ma la bocca del medico che l'è sdraiato addosso torna a reclamare la sua più completa attenzione. C'erano state volte in cui si erano strappati gli abiti di dosso come se fossero stati imbevuti di acido corrosivo e volte in cui non erano nemmeno arrivati a spogliarsi; volte in cui il sesso era stato come un regolamento di conti, la richiesta di una resa - « Non te ne andare. »; c'erano state volte - molte volte - in cui lui le aveva ceduto il controllo, imposto con la tenerezza e la passione, e volte in cui aveva combattuto e la gioia era stata identica sia nella sconfitta che nella vittoria.
Quella particolare mattina, tuttavia, è ben lieta di arrendersi subito e baciargli sulle labbra l'ultimo respiro.
Jordan riapre gli occhi e ciò che vede davanti a sé è la parete screpolata di una cella dei sotterranei di Hall Point.
E' seduta per terra, ha la nuca spalmata contro il muro che confina con la cella di fianco, il naso rotto e una costola incrinata. La canottiera blu stinta ha il bavero macchiato di sangue rappreso che l'ennesima testata di Marshall Lee ha deciso di regalarle.
Tende stancamente una mano verso le sbarre - tintinna un braccialetto d'argento al polso sinistro -, senza volerci davvero arrivare. Lancia una tazza, invece, per far rimbombare metallo contro metallo e svegliare l'occupante della "stanza" accanto - acqua che avrebbe dovuto bere finisce sul pavimento.
« Sveglia Lee, brutto cazzone, dormi da morto. »
Per lo meno, questa volta ha qualcuno con cui parlare. O a cui dare fastidio.
Ha undici anni, un vestitino blu e le ginocchia sbucciate. E' la festa di Thyatira, le barche dei pescatori escono in processione, una dopo l'altra, sul vasto mare buio punteggiato dalla luce delle lanterne di carta. Quando sono al largo, guarda le luci librarsi leggere nell'aria fresca di una sera d'estate, un ringraziamento vecchio come il 'Verse ai primi Coloni, quelli sbarcati su Whitmon dopo il Terraforming, quelli che hanno cominciato a spargere casette come sassolini sulla terra brulla di quell'isoletta.
Nik, il solito Nik, l'ha spinta giù dai gradini lastricati che dalla piazza principale si tuffano per i vicoletti del paesino fino al molo di legno, unico porto dell'isola; l'ha spinta per arrivare primo, e solo Thomas si è guardato alle spalle per controllare che non si fosse fatta troppo male. Thomas dagli occhi blu e i capelli neri, Thomas che la chiama per nome e alza le spalle ai suoi capelli corti - « Non stai male, comunque. ».
Una zazzera bionda e spettinata - gli scherzi di Elija, le risate e una gomma da masticare impigliata tra le ciocche color miele - che si era tagliata da sola, senza nemmeno guardarsi allo specchio.
Jordan osserva le lanterne finché non sono sparite nella manciata di stelle sparse sul cielo, velluto blu scuro, prima di far scivolare apparentemente distratta gli occhi verdi nella folla gremita sul molo di legno - sua madre in un angolo flirta con uno sconosciuto che non la guarda nemmeno -, cercando la sagoma di Tom, da qualche parte. Forse è molto più interessante lui, rispetto alle lanterne.
Jordan chiude gli occhi e improvvisamente è di nuovo ragazzina.
Ha diciassette anni, i capelli rosa e le braccia traforate di buchi. Switch fino a perdere i soldi - il senno il rispetto il controllo. La dignità, quella l'ha già smarrita da qualche parte quando ha accettato di far marchette per Tulio - « Sono per tutti e due, chica, per tutti e due. » -, che si mangia ogni soldo che lei riesce a tirare su scopando con chi decide che vale qualche pesos, al Sangre Amaro in quel di Tartagal.
E' ferma in un vicolo, la schiena nuda contro il muro di lamiera di una delle baracche, le mani strette contro il seno acerbo, il tessuto di una canottiera che una volta aveva tutta la stoffa al punto giusto - non tutti quelli che la pagano sono gentili. Ha uno zigomo pesto - le donne le trattano a ceffoni, al Sangre Amaro - e le banconote stropicciate infilate tra le dita, quasi qualcuno dovesse strappargliele di dosso. Sta cercando di riprendere fiato - inspira espira ispira espira - per andarsene a casa. Non prima di essersi infilata qualche soldo nelle scarpe, dove Tulio non guarda mai. Se per comprarsi altra Switch senza di lui o per farci altro, non è dato sapere.
Jordan chiude gli occhi e improvvisamente è di nuovo ragazza.
Ha ventun'anni, un collare al collo e tanta paura. E' sdraiata su un letto di pellicce, circondata da tre donne anziane che parlano un dialetto stretto di St. Andrew, qualcosa pieno di consonanti e dalle vocali particolarmente aperte. Le piazzano in mano una ciotola di legno colma una bevanda bianca, piuttosto pastosa e dal profumo di latte - « Latte di Luna. » -, ordinandole di berla tutta, fino all'ultima goccia. Farà morire il bambino, riesce a capire a stento, mentre una delle donne le piazza una mano sulla pancia ancora piatta e strofina un paio di volte, recitando una preghiera a lei sconosciuta.
Non è del tutto sicura di volerlo fare, di voler tagliare via quel qualcosa che il suo padrone - Ebwar - le ha piantato nel ventre. Non ha mai riflettuto sulla questione, sull'avere un bambino.
Svuota la ciotola in un paio di sorsi, storcendo la bocca per l'amaro che le gratta la lingua. Si beve svelta ogni rimpianto di cancellare una vita, spalleggiata dall'egoistica rassicurazione che, comunque, il liberarsi del bambino era un ordine diretto dell'Orso suo Padrone. E per una schiava, questo è già abbastanza.
Jordan chiude gli occhi e improvvisamente è di nuovo lei.
Ha venticinque anni, la pelle dorata dal sole e un lampadario di conchiglie sospeso sul soffitto. Le labbra di Eddie sulla spina dorsale - schiena intrecciata di cicatrici e lentiggini - sgranano le vertebre come grani di un rosario, e le preghiere sono le fusa che sta facendo lei - capelli arruffati e profumati delle lenzuola di lino. La conchiglia bianca che gli ha regalato penzola da un cordino di cuoio, solleticandole la pelle nuda. Whitmon è un angolo di paradiso, lontano da tutti e da tutto quanto anche se solo per una settimana - troppo poco per la pace, troppo senza risposte al suo cortex.
Il silenzio di Lars Wolfwood è l'unica cosa che incrina la sua serenità, ma la bocca del medico che l'è sdraiato addosso torna a reclamare la sua più completa attenzione. C'erano state volte in cui si erano strappati gli abiti di dosso come se fossero stati imbevuti di acido corrosivo e volte in cui non erano nemmeno arrivati a spogliarsi; volte in cui il sesso era stato come un regolamento di conti, la richiesta di una resa - « Non te ne andare. »; c'erano state volte - molte volte - in cui lui le aveva ceduto il controllo, imposto con la tenerezza e la passione, e volte in cui aveva combattuto e la gioia era stata identica sia nella sconfitta che nella vittoria.
Quella particolare mattina, tuttavia, è ben lieta di arrendersi subito e baciargli sulle labbra l'ultimo respiro.
Jordan riapre gli occhi e ciò che vede davanti a sé è la parete screpolata di una cella dei sotterranei di Hall Point.
E' seduta per terra, ha la nuca spalmata contro il muro che confina con la cella di fianco, il naso rotto e una costola incrinata. La canottiera blu stinta ha il bavero macchiato di sangue rappreso che l'ennesima testata di Marshall Lee ha deciso di regalarle.
Tende stancamente una mano verso le sbarre - tintinna un braccialetto d'argento al polso sinistro -, senza volerci davvero arrivare. Lancia una tazza, invece, per far rimbombare metallo contro metallo e svegliare l'occupante della "stanza" accanto - acqua che avrebbe dovuto bere finisce sul pavimento.
« Sveglia Lee, brutto cazzone, dormi da morto. »
Per lo meno, questa volta ha qualcuno con cui parlare. O a cui dare fastidio.
Etichette:
Background,
Ebwar,
Eddie,
Hall Point,
Jail,
Lars,
Maracay,
Marshall,
Pensieri,
St. Andrew,
Tulio,
Whitmon
Iscriviti a:
Post (Atom)