sabato 14 giugno 2014

Never enough.

Clackline, Magione dei Deveraux, 2508

« Again. »
La voce di Amandine le buca le orecchie, ovattata - terrorizzata.
Non urlare ragazzina, cristo santo non urlare.
« Again. »
Il sole di Dorado brucia la pelle pallida, si aggrappa ai vestiti già madidi di sudore in una cappa soffocante, appiccicosa e malsana.
Non guardare giù Jordan, non guardare giù.
Qualcuno, forse il vecchio Byron, aveva tagliato l'erba da poco - profumava di papaveri e peschi in fiore.
« Again. »
Se avesse abbassato lo sguardo oltre la staccionata - stringere il legno così forte da piantarsi le schegge sotto le unghie - non ci avrebbe trovato altro che schizzi di sangue, lo stesso che le imbratta, ferroso, le labbra - affondare i denti nella bocca, torturarla, per non urlare il suo dolore il suo disprezzo.
« Again. »
Ormai ha perso il conto alla quarta, o forse alla quinta scudisciata. La pelle della frusta le azzanna implacabile la schiena, in un groviglio ormai irriconoscibile di sangue, scapole e stoffa lacerata - « Te li ho pagati io i vestiti che indossi, posso levarteli allo stesso modo. »
Forse non avrei dovuto sputargli in faccia.
Quando una voce urla Basta! - un ordine stavolta, non una supplica -, lo sguardo smeraldino di Jordan è ancora fisso davanti a lei, inchiodato alla corteccia della quercia secolare del giardino; i polsi sono strettamente assicurati alla prima sbarra dello steccato contro cui, ormai, si è accasciata.
Qualcosa le serra lo stomaco in una morsa crudele - bile rabbia dolore -, il sudore le incolla i capelli tinti di rosa alla nuca -corti alle spalle, 'che una schiava non può concedersi il lusso avere ciocche color delle peonie.
Dei passi, un fruscio sull'erba, delle risate - latrati di figli di cagna.
Un paio di mani piccole e gentili - Amandine? - si affaccendano svelte, in un tremito incontrollato, attorno al nodo della corda, mormorando un mantra in quello che non tarda a riconoscere come Escravit - « I
t's rightall, it's rightall. »
No, non va affatto bene, vorrebbe risponderle.
Invece, l'ultima cosa che riesce a fare in uno sprazzo di coscienza è piegarsi in avanti e perdere i sensi, nell'ennesimo scossa di dolore che le mastica i nervi.
Non fa in tempo a sentire di nuovo le urla di Amandine - 
« Ma non potete, l'avete già punita! » - mentre la trascinano via.
Alla fine, purtroppo, ha guardato giù.

~

Quando riapre gli occhi - non sa nemmeno più dopo quanto tempo - sta fissando una parete di legno, la guancia premuta contro una superficie rigida e la bocca arida, impastata di sangue.
Il collare di cuoio rovinato le scotta sul collo, bollente.
La schiena fa talmente male che si rende conto già dopo il primo respiro spezzato che non riesce a gonfiare i polmoni come vorrebbe.
Fa per rivoltarsi, come un animale selvatico ferito da una tagliola - istinto, puro e semplice -, ma un paio di solide mani glielo impediscono, stringendole le spalle.
« Tienila ferma Barrow, maledizione. »
Un altro paio di mani la inchiodano al tavolo, con la stessa urgenza che ha sentito nella voce di prima - solo un tremito inesperto, ma risoluto, nell'affondarle le dita nella pelle dei polpacci.
« Ma se tenta di muoversi? »
« Non se, quando. E la risposta è sempre, cercherà di muoversi da adesso in avanti, quindi tienila ferma. »
Solo la voce di Amandine, in quel chiasso diffuso, suona come una melodia rassicurante.
« Non fatele male. »
« Stiamo cercando di rattopparla, signorina, ma non è messa bene. »
Parole che una Jordan sdraiata mezza nuda su un tavolo, con la schiena massacrata, non vorrebbe mai sentire.
« Dovevi portarcela prima, ha la febbre. Rischia di portarsela via l'infezione. »
« Vin non mi faceva andare via. L'ha tenuta legata lì sotto il sole per tutto il pomeriggio. »
Lo spavento e la preoccupazione, nell'inglese titubante di Amandine, sono freschi e sinceri come acqua di fonte - la stessa che c'era a Thyatira, quando doveva sciacquarsi il sale di dosso.
Prova nuovamente a divincolarsi, in una fitta che le strappa un ringhio selvatico e le annebbia i pensieri - non svenire, non di nuovo cazzo Jordan.
« Ci proviamo bambina. Ci proviamo. »
« Grazie dottor Mason. »
L'ago di un hypospray le pizzica il collo - switch, vi prego, datemi della switch - e non fa nemmeno in tempo a capire cosa sta per succedere che dell'acqua - profuma di timo, o forse sta impazzendo - le viene rovesciata sulla schiena. Piano.
Non può non urlare, fino a sfinirsi le corde vocali - mani sagge e dolcemente crudeli la tengono ferma, su quel tavolo, finché le ossa del bacino non cominciano a farle male per quanto si divincola.
Non sente più nulla se non il suo dolore - il timo, l'odore di fieno, i sussurri di Amandine - e un blando tranquillante che comincia a fare effetto - « Ho finito l'antidolorifico, dovrò fare in altro modo. ».
Apre bocca per replicare per respirare - uccidetemi e basta - ma di nuovo la carne devastata della schiena trascina a fondo la sua coscienza, spedendole scosse lungo la spina dorsale.
Samuel Barrow e il suo accento strascicato da 'liner cullano il suo ultimo sfarfallio di ciglia.

« Stop fightin', Jordan. It's 'nough for today. 
»

It's never enough, you dumbass.

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