Richleaf, Maracay - Tartagal, 2507
Erano stati passi distratti a portarla lì, senza che davvero sapesse dove la stessero conducendo. Si era tinta i capelli biondi nel bagno dello spazioporto di Sieg, prima di partire, e l'unico colore che costava sufficientemente poco da poterselo permettere con i pochi spiccioli che aveva in tasca era il rosa. Il fugace lampo dello sguardo di disapprovazione della madre le sfarfallò in mente, svelto come il ragazzino che le era sfilato al fianco sfilandole ciò che rimaneva dei soldi.
Jordan Fox, nel guardarsi attorno terrorizzata ma affascinata, mostrava tutta l'ingenuità di chi è cresciuto su un'isola e non crede sia possibile trovare così tante persone ammassate in un luogo.
Maracay sembrava un gigantesco formicaio, brulicante di vita e passanti frettolosi - ben lontani dall'operosità dell'insetto cui si ispirava. Tartagal, uno spicchio di quell'arancia sanguigna, era un calderone di odori e voci, un budello di viottole sterrate, un labirinto in cui era fin troppo facile smarrire se stessi.
E al momento, con i suoi capelli color caramella e la sacca sulla spalla, dopo aver passato fin troppo tempo sdraiata sul pavimento della stazione degli autobus, lei era tutt'altro consapevole di cosa ci facesse in quel posto.
Mento alzato ad osservare, sconfitta ed esausta, l'insegna traballante di una bettola come tante, illuminata fiocamente dalla luce aranciata proveniente dall'interno del locale.
Entrarci e farsi largo a gomitate verso il bancone, incespicando in decine di sconosciuti ubriachi, fu solo questione di scelte - e di sete.
- Que tomo?
La lingua la colse alla sprovvista, liscia come seta ma sporca della stessa polvere rossastra che le aveva imbrattato le scarpe, fin lì. Non riuscì a rispondere nulla di concreto e rimase lì, per qualche secondo buono, a boccheggiare come un pesce rosso senz'acqua, le nocche strette al bordo del bancone - aggrappata all'unica cosa che non pare girarle sotto i piedi.
Il tonfo di qualcuno che si schianta contro il legno lercio del bancone, al suo fianco sinistro, la fece sobbalzare come un animaletto selvatico, spaventata.
Era un ragazzo poco di grande di lei, dagli arruffati capelli biondi e dal sorriso furioso - crudo, come la risata estasiata che gli sgorgò dalle labbra poco dopo, mentre si massaggiava una guancia su cui spiccava il segno rosso delle cinque dita.
Jordan, seguendo la direzione del suo riso, trascinò uno sguardo titubante a seguire la schiena di una bruna piuttosto procace sparire, inghiottita nella folla che si dimenava al ritmo di una musica indiavolata.
Fu il formicolio di un paio di occhi fissi su di lei a farle torcere nuovamente il collo per incontrare lo sguardo del ragazzo spintonato contro il bancone; una morsa le serrò lo stomaco, inchiodata da un paio di occhi blu, lucidi di curiosità e di qualcos'altro, probabilmente - alcol, switch, all'epoca non sapeva ancora nulla di come girava il 'Verse.
- Ehi chica.
Di nuovo quella lingua. La sua ordinazione era un ricordo ormai lontano, accantonato in un angolo remoto del cervello, soppiantato bruscamente dal bisogno di ossigeno.
Non si era neanche accorta di aver smesso di respirare.
- Non parli maraqueño, anh?
L'inglese di quel giovanotto era stentato, gonfio di consonanti, deliziosamente strafottente come quel sorriso che sembrava inciso direttamente contro la sua bocca.
Jordan scosse il capo un paio di volte, scrollando le lunghe ciocche rosa e facendolo ridacchiare nuovamente.
- Vale, cos'è che vuoi?
Chiederle l'età non sembrava neanche nei suoi programmi e una parte di lei si complimentò silenziosamente con se stessa, per l'ottimo lavoro fatto in quel travestimento. Foxie era rimasta sulla spiaggia di Thyatira ad aspettare il traghetto per Sieg, c'era solo Jordan in quel momento.
In quel posto, in quell'istante.
- Scegli tu.
Non voleva essere civettuola, ma a giudicare dall'occhiata che il ragazzo le spinse addosso, da capo a piedi fino ad arrampicarsi nuovamente verso l'alto, qualcosa nel suo accento musicale gli aveva suggerito tutt'altro.
- Tequila.
Ordinò lui, senza neanche guardare il barista ma alzando una mano con la spavalderia di chi, in quel posto, ci ha passato anche fin troppo tempo. Anche Jordan non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, quasi fosse magnetico. Era bello in un modo che faceva quasi male, e il paio di nei sul collo, i segni rossi vicini allo scollo stazzonato della maglia bianca - oscenamente consunta - le facevano venire in mente pensieri molto meno innocenti di quelle uscite in barca con Thomas.
- Com'è che ti chiami?
Nuovamente, raschiò un respiro dal fondo della gola, concedendo ai polmoni la tregua di riprendere a respirare normalmente - fumo dolciastro polvere e sudore.
- Jordan.
Lui sogghignò, un guizzo in fondo agli occhi blu - un'onda in quel mare liquido, in cui la pupilla era una barca smarrita in tempesta.
- Io sono Tulio. E se non sei ubriaca .. - le tese lo shot di tequila appena arrivato, raso fino all'orlo - .. sei nel posto sbagliato.
E fu in quel momento, quando il primo shot di tequila le ustionò la gola e la coscienza, che Jordan Fox sentì di essere esattamente dove doveva essere.
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